Le feste, le ricorrenze, il costume tradizionale

Ultima modifica 5 dicembre 2017

Santi di paese e di campagna
Il primo e il 2 settembre si svolge la festa popolare dei patroni Sebastiano e Lucia. In questi giorni la piazza diventa un vero e proprio teatro all’aperto e la banda del paese scandisce il tempo alle processioni che si snodano per le vie tortuose del centro storico. Questi festeggiamenti sono attestati sin dal tardo Settecento.
Momenti importanti sono costituiti anche dalle feste campestri di San Marco, il 25 aprile, San Michele, a metà maggio, e Santa Caterina, il primo sabato di giugno, che rappresentano, accanto all’aspetto religioso, vere e proprie sagre aperte a tutti, durante le quali si può gustare, nel corso di grandi pranzi all’aperto, il piatto tipico della cucina berchiddese, sa suppa. Queste chiese di campagna, tutte restaurate di recente, sono anche teatro di concerti durante la Rassegna jazz. Di particolare importanza, pochi passi a oriente dalla chiesa di Santa Caterina, sorge la chiesa di Sant’Andrea, di recente restaurata, risalente al 1600 e forse sede nel medioevo di un convento benedettino. Tra i pochi elementi della struttura originale si è conservato l’architrave in trachite rossa della porta centrale.


Le ricorrenze
Il 20 gennaio, a San Sebastiano, si svolge ogni due anni il premio letterario di poesia in lingua sarda intitolato a Pietro Casu. La manifestazione è organizzata dall’Associazione omonima col patrocinio del Comune.
Per gli appassionati dei motori e non solo, in tarda primavera si svolge il Rally dei Nuraghi e del Vermentino, evento sportivo che mira alla promozione e valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze, in particolare del Vermentino di Gallura. Un forte richiamo per gli appassionati di musica è rappresentato dalla rassegna “Time in Jazz”, nata nel 1988 e fortemente voluta dal suo direttore artistico Paolo Fresu. Ogni anno tra il 10 e il 16 agosto il paese indossa un abito completamente diverso: la piazza principale si trasforma in un grande teatro e le strade si animano di voci, colori e suoni inusuali che segnano le ore in attesa dei concerti notturni che vedono protagonisti insieme a Fresu musicisti provenienti da tutto il mondo.
L’orgoglio del gruppo folk “Santa Lughia” «Essendo Berchidda posta quasi ad egual distanza dalla Gallura e dal capoluogo del circondario, i costumi dei suoi abitanti sono una mistura di quelli dei galluresi e di quelli degli ozieresi»: con queste parole Pietro Casu accenna all’abbigliamento tradizionale del paese in un manoscritto del 1894 riscoperto da Giuseppe Soddu. Grazie anche a questi spunti è stato possibile fare una ricerca che ha portato alla luce diversi indumenti femminili, risalenti alla seconda metà dell’Ottocento, e un intero costume maschile, il cui ricordo si era quasi perso.

Tra gli elementi originali ancora oggi conservati, diversi bustini in broccato a fiorami dorati con bordi in velluto nero e passamaneria anch’essa dorata.
Di valido aiuto è stata anche una gigantografia di proprietà della famiglia Dalmasso-Grixoni, residente a Cagliari, che dà indicazioni precise sulla gonna.
L’abbigliamento femminile, molto sobrio, era caratterizzato da una camicia bianca plissettata e finemente ricamata sul petto, sulla quale poggiava il corpetto (imbustu) di broccato a fiorami dorati e passamaneria dello stesso colore, composto da due parti simmetriche unite da una fettuccia rossa e allacciato sul davanti con un nastro intrecciato dello stesso colore (cordonera). Sul corpetto si indossava un giubbino (giuppone) piuttosto largo sulle spalle e stretto in vita e sulle maniche, in modo da seguire la linea del corpo. La gonna, in panno nero, interamente pieghettata (affaltizzada), era accompagnata sul davanti da un grembiule, generalmente violaceo. Sul capo un fazzoletto in tinta col giubbino, preferibilmente di seta con frange, sul quale spiccava un piccolo scialle (isciallittu) color vinaccia. Non era diffusa – a parte qualche persona anziana – l’usanza di coprire il capo (cuguddare) con una gonna esterna (bunnedda de cavaccare) come in altri paesi. Per quanto concerne altri particolari Pietro Casu scriveva: «Coprono i piedi con stivalini comprati altrove, non essendo i nostri calzolai atti a far scarpe da donne… Le nostre femmine non s’ornano di braccialetti o di collane e di orologio con lunghe catene come le continentali, ma sono vaghe degli orecchini d’oro, grandi, che sono nascosti sotto i fazzoletti, delle brosce (spille) che s’affiggono nei giuppones, e degli anelli d’oro». L’abito maschile era simile a quello tipico sardo: da segnalare il corpetto di velluto grigio o rosso, a doppio petto (mesu belludu), con bottoncini rivestiti con lo stesso tessuto sul davanti (cosse). Il retro era di tessuto marrone liscio. Nell’Ottocento chi se lo poteva permettere sostituiva il corpetto in velluto con uno in cuoio (coeru ante). L’insieme delle componenti del gonnellino nero (ragas) era in orbace, completato da una striscia dello stesso materiale che passava tra le gambe. Risaltava un unico accessorio, la cintura (chintorza) in pelle marrone. Completavano il costume una sorta di larghi pantaloni (camberas) raccolti da ghette d’orbace allacciate, nei costumi più raffinati, con ganci. Il copricapo (berritta), nero, lungo circa un metro, si lasciava per lo più ricadere sulla schiena. Oggi i componenti del Gruppo folk “Santa Lughia” indossano il costume interamente ricostruito.


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